No ai bavagli: martedì 8 novembre 2022 i cronisti romani hanno convocato, per le 10.30 davanti al tribunale a piazzale Clodio un presidio per protestare contro l'applicazione nell'ambito della regione Lazio delle norme sulla presunzione di non colpevolezza introdotte dal decreto legislativo 188 del 2021, «di cui la libera informazione in Italia attende da parte dei ministeri competenti una corretta lettura attraverso nuove circolari esplicative che non mettano a repentaglio (come sta avvenendo) il diritto di cronaca», rilevano i promotori dell'incontro.

La legge prevede il «divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili».

Le procure possono organizzare conferenze stampa solo per fatti «di particolare rilevanza pubblica», e comunque nessuna notizia può essere diffusa se non attraverso comunicati stampa approvati dai Procuratori capo (articolo 3). Il comma 3 ter vieta agli inquirenti di battezzare le operazioni con «denominazioni lesive della presunzione di innocenza».

La protesta è supportata dal sindacato dei giornalisti, la Federazione nazionale della Stampa Italiana, e dall’Ordine professionale.

La protesta

«Vietato parlare con i giornalisti – incalzano i giornalisti –. Più che concentrarsi sulla prevenzione e repressione dei reati, a Roma, ormai procura e questura sembrano, piuttosto, impegnate a imbavagliare la stampa. La legge sulla presunzione di innocenza appare un pericoloso alibi. Eppure è fondamentale permettere la verifica di fatti e notizie nell'immediatezza, oltretutto, in un momento così delicato per la vita del paese colpita da una crisi economica gravissima che rischia di generare grandi tensioni sociali.

Ma per la paura di assumersi responsabilità o di essere "redarguiti", tutti i livelli coinvolti in quello che dovrebbe essere un aperto confronto con gli organi di stampa, nel rispetto dei ruoli, si stanno trincerando dietro un "no comment" che spesso è o sfiora la censura. Una condizione inaccettabile: chi opera in difesa dello stato e dei cittadini deve anche essere in grado di potere interloquire con i professionisti dell'informazione i quali, ricordiamo, hanno dei doveri già sanciti dai codici deontologici».

I cronisti romani ritengono «assurdo che nella capitale del Paese, sede di tutte le istituzioni, a decidere cosa sia di interesse pubblico, se e cosa debba essere detto o non detto ai giornalisti sia esclusivamente una persona, un procuratore. Se non altro per la mole di procedimenti e fatti di cronaca che avvengono a ogni ora del giorno e della notte: sarebbe umanamente impossibile. Da anni ai giornalisti di Roma, poi, è stato sbarrato addirittura l'ingresso nel palazzo di via di San Vitale, sede della Questura. È stata chiusa e mai più riaperta la storica sala stampa. Sembrava di avere toccato il punto più basso nei rapporti, invece, no».

I giornalisti si oppongono quindi «con fermezza a chi tenta di relegarci a solo megafono per veline "di regime", rinunciando al nostro diritto dovere verso la comunità di raccontare i fatti: non è questa la democrazia. Per questo – proseguono – chiediamo il ripristino immediato di un adeguato scambio di informazioni che risponda almeno al buon senso piuttosto che alla declinazione fallata e fuorviante di una norma europea il cui spirito (che condividiamo) è stato ampiamente travisato nell'adozione legislativa italiana».

Da qui la richiesta al nuovo governo e al nuovo parlamento «di rivedere il meccanismo che ha portato a questo deterioramento dei rapporti che rischia di privare tutti i cittadini (non solo a Roma, ma in tutta Italia) della conoscenza effettiva di ciò che succede nelle loro città. Mesi fa il presidente dell'Ordine regionale dei giornalisti aveva chiesto un incontro al procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, a cui non è seguita risposta.

Per l'8 novembre, a un anno dall'introduzione del decreto legislativo 188/2021 sulla "presunzione di innocenza" – concludono i cronisti romani –, chiamiamo le singole colleghe e i colleghi, anche le pubbliche autorità che non si riconoscono in una norma che sta travalicando il suo obiettivo finendo per ledere un altro diritto fondamentale, a una mobilitazione generale con la partecipazione della Fnsi, dell'Ordine dei giornalisti, di tutte le Associazioni di stampa regionali e gli Istituti di categoria e di tutte le organizzazioni e associazioni che lottano per la difesa della libertà e l'indipendenza dell'informazione».

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